La gravità dell’ansia è associata a stress ossidativo nella depressione

 

 

GIOVANNA REZZONI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XV – 03 giugno 2017.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

La scoperta di meccanismi con un ruolo patogenetico nella depressione, consistenti nell’iperattivazione cronica dei sistemi neuronici mediatori delle risposte allo stress, ha indotto la creazione e l’impiego di modelli sperimentali comuni ai disturbi depressivi e da stress, e promosso negli ultimi decenni innumerevoli lavori nei quali si implica una sostanziale identità nelle due categorie diagnostiche. Tale tendenza nella ricerca sta influenzando anche molti neuropsicopatologi e psichiatri. Ma, se l’esistenza di una base fisiopatologica comune a disturbi d’ansia, da stress e depressivi è un dato di fatto inconfutabile, non si giustifica una totale assimilazione nella patologia fra depressione e disturbi da stress, non fosse altro che per la necessaria differenza data dai meccanismi esclusivi del disturbo affettivo. Ammesso anche che in molti casi la fase di disturbo d’ansia costituisca solo uno stadio che precede quello della psicopatologia depressiva, riteniamo che sia espressione di opportuna prudenza supporre specificità e differenze neurobiologiche fino a prova sperimentale del contrario. Un caso di attualità, in proposito, è quello dello stress ossidativo, implicato sia nella depressione che nei disturbi d’ansia.

Steenkamp e colleghi, volendo verificare se lo stress ossidativo è legato alle diagnosi sindromiche di disturbi d’ansia e depressione o a sintomi dimensionali transdiagnostici, hanno esaminato la relazione fra stress ossidativo e gravità dei sintomi di depressione e ansia in persone affette da Depressione Maggiore (MDD, da major depressive disorder).

(Steenkamp L. R., et al. Severity of anxiety - but not depression – is associated with oxidative stress in Major Depressive Disorder. Journal of Affective Disorders 219: 193-200, 2017).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychiatry, University of California San Francisco (UCSF) School of Medicine, San Francisco, CA (USA); Institute of Psychology, Leiden University, Leiden (Paesi Bassi); Arkansas Children’s Research Institute, Department of Pediatrics, University of Arkansas for Medical Sciences, Little Rock, AR (USA); Department of Clinical Science, Psychiatry, Faculty of Medicine, Lund University, Lund (Svezia).

Una parte importante, nell’insegnamento di tradizione italiana della psicopatologia dei disturbi d’ansia e delle varie forme di depressione, prevedeva lo studio della dimensione psichica del paziente, sia attraverso la conoscenza dei vissuti, dei contenuti ideativi e delle tipologie di pensiero, sia mediante un’analisi del profilo e dell’evoluzione di tutti i processi psichici accessibili all’osservazione intersoggettiva ma non presenti alla consapevolezza del soggetto. Tale studio avveniva necessariamente impiegando dei paradigmi teorici psicoanalitici, fenomenologici o cognitivo-comportamentali, con i loro limiti e il loro fondamento spesso controverso; tuttavia, nel tempo, mediante il loro impiego corretto dall’esperienza, lo psichiatra trovava una linea sostanziale di approccio e conoscenza che spesso costituiva la base per l’efficacia psicoterapeutica. I progressi nella conoscenza patologica dei disturbi psichici non dovrebbero allontanare da questa pratica, ma dovrebbero essere considerati preziosi per un intervento sempre più globalmente rivolto alla persona ed analiticamente specializzato nelle sue componenti, secondo la concezione di wholistic medicine di Lehman-Perrella. Per questo motivo, riteniamo che studi come questo di Steenkamp e colleghi – come del resto tanti altri da noi recensiti – non debbano considerarsi di esclusivo interesse per coloro che tendono a riportare la psichiatria nell’alveo dell’internistica in un rassicurante neo-organicismo neurologistico, ma debbano essere inclusi nel vasto materiale documentario delle nuove nozioni emergenti dalla ricerca quale parte del bagaglio conoscitivo in costante aggiornamento di ogni psichiatra, inclusi coloro che sono nostalgici di una pratica clinica intersoggettiva, che sembrava liberare i pazienti dai sintomi sciogliendone i nodi di senso patologici.

Lo studio delle basi neurobiologiche dei più gravi disturbi dell’umore e dei disturbi dello spettro dell’ansia ha fornito una così vasta mole di nozioni, da rendere impossibile una schematizzazione sintetica delle principali alterazioni molecolari, cellulari e sistemiche, senza correre il rischio di trascurare aspetti importanti delle nuove acquisizioni. Pertanto, mi limito a tracciare una semplice caratterizzazione concettuale generale.

In questi termini, si può dire che i gravi disturbi affettivi, come la depressione maggiore, per la cronicità o ricorrenza degli episodi, suggeriscono la presenza di alterazioni neurobiologiche a lungo termine, mentre, per la variabilità delle espressioni sintomatologiche fra gli episodi, indicano l’intervento di fattori dipendenti dallo stato funzionale. Schematizzando, la fisiopatologia dei principali disturbi dell’umore riflette due componenti: 1) componente tratto-dipendente; 2) componente stato-dipendente. Per quanto riguarda i disturbi d’ansia, oggi sono considerati quali condizioni di cattivo adattamento, in cui si producono risposte auto-evocate o sproporzionate allo stress.

Ma, torniamo allo studio di Steenkamp e colleghi, qui recensito.

I markers plasmatici di stress ossidativo F2-isoprostani e glutatione ossidato (GSSG), e l’antiossidante glutatione ridotto (GSH), sono stati analizzati in 69 volontari affetti da depressione maggiore, non sottoposti a trattamento farmacologico ed apparentemente non affetti da alcuna malattia clinicamente rilevante. I sintomi di ansia e depressione sono stati valutati con la Scala di Hamilton per l’ansia (HAM-A) e la Scala di Hamilton per la Depressione (HAM-D). I punteggi totali delle due scale, insieme con le subscale “core” per ansia e depressione e i singoli elementi di HAM-D “ansia psichica” e “umore depresso” sono stati rapportati ai markers di stress ossidativo. Le analisi sono state controllate per età, sesso, BMI e abitudine al fumo.

I risultati, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura del testo integrale del lavoro originale, dimostrano che lo stress ossidativo desunto dai markers rilevati è più strettamente associato ai sintomi dell’ansia che a quelli della depressione.

Tale risultato sottolinea l’importanza di rapportare lo stress ossidativo a sintomi specifici e, dunque, a processi parziali e non all’insieme del quadro clinico corrispondente ad una categoria nosografica.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

Giovanna Rezzoni

BM&L-03 giugno 2017

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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